Studio Greco

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RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO E DI OGNI ALTRA VOCE DI DANNO DERIVATA AL LAVORATORE A SEGUITO DI INFORTUNIO SUL LAVORO

Le pronunce giurisprudenziali più sopra citate hanno condotto, come è noto, ad una revisione del sistema antinfortunistico oggi vigente in favore del riconoscimento dell’autonoma risarcibilità del danno biologico rispetto al pregiudizio alla capacità lavorativa indennizzato dall’INAIL ai sensi del T.U.1124/65. In particolare, in base ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n.184 del 1986, ma anche con altre successive n. 87 del 1991, n.356, il lavoratore infortunato ha diritto, nei confronti dei soggetti civilmente responsabili dell’infortunio, al risarcimento del danno biologico patito nello svolgimento del lavoro e nel corso dell’espletamento delle proprie mansioni in riferimento agli artt.3, 32, comma 1°, 35, comma 1°,  38, comma 2° e 41, 2° comma, Cost.

Le sentenze poc’anzi menzionate hanno inteso ricomprendere, nella disciplina dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali la riparazione dei danni alla salute subiti dal lavoratore in conseguenza di eventi connessi allo svolgimento della prestazione, considerando la lesione del bene protetto (la salute) come un fatto antigiuridico, e, in quanto tale, fonte di responsabilità risarcitoria.

La Corte Costituzionale ha così affermato un principio di diritto, assoluto e primario ex art.32 Cost., con particolare riguardo al regime generale della previdenza sociale che, nel riconoscere ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di malattia, infortunio, invalidità (art.38, c.2 Cost.) deve approntare, in caso di lesione dell’integrità personale, “misure idonee ad assicurarne il più ampio ristoro”.

In adesione ai principi emergenti dalle citate pronunce della Consulta, la giurisprudenza di legittimità e di merito si sono in più occasioni pronunciate a favore dell’autonoma risarcibilità, a carico del soggetto responsabile, del danno biologico e di quello morale, rispetto alle indennità assicurative di legge volte a compensare la riduzione della capacità lavorativa (si veda per la giurisprudenza di merito ex multis Trib. Latina 24.6.1991, in Foro it., 1992, p.1946; Pret. Livorno 27.2.1992, in “Diritto e pratica del lavoro” n.26/1992; Pret. Monza 15.12.1992, in D&L, p.677; Trib. Napoli 12.3.1993, in “D&L”, p.617; per quella di legittimità CASS. Sez.Lav. 8/7/1992, n.8325; 26/2/1992, n.7663; CASS. 14/12/1993, n.12333).

Infine, con il D.Lgsvo 23 febbraio 2000, n. 38, il legislatore ha posto a carico dell’INAIL, il risarcimento del danno biologico conseguente ad infortunio sul lavoro e a malattie professionali, prevedendo un indennizzo in forma capitale, per le menomazioni di grado dal 6% al 15%, e in forma di rendita per le menomazioni di grado pari o superiore al 16% (art.13).

Tuttavia, si può far ricorso al risarcimento previsto dalla citata nuova disciplina, solo per i “danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3”, ossia, a far tempo dal 25/7/2000.

Per quanto concerne il danno morale l’autonoma risarcibilità di tale danno, accanto a quella del danno biologico, è stata sottolineata come pacifica dalla giursprudenza costante della S.C. (Cass.20 Luglio 1992, n.7577, in Foro italiano, 1993, I, 3134; Cass.6 Dicembre 1993, n.12055; Cass.15 Novembre 1993, n.11277; Cass.15 Aprile 1993, n.4475; Cass.14 Dicembre 1992, n.13173) e, con sentenza interpretativa e adesiva rispetto a tale orientamento, dalla Corte Costituzionale (Sent. 37/1994, in “Foro italiano”, 1994, I, 1326).

In sostanza attualmente può ben dirsi, citando una massima recente della Suprema Corte, che “In caso di operatività dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell’azione risarcitoria di quest’ultimo al cosiddetto danno differenziale nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale, a norma dell’art.10 D.P.R. n.1124 del 1965 e delle inerenti pronunce della Corte Cost. riguarda la spesa dell’ambito della copertura assicurativa, cioè il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica e invece – in armonia con i principi ricavabili da Corte Cost. n.356/1991 e n.485/1991 e con il conseguente nuovo orientamento della giurisprudenza ordinaria sui limiti della surroga dell’assicuratore – non riguarda il danno alla salute o biologico e il danno morale di cui all’art.2059 cod. civ., entrambi di natura non patrimoniale, al cui integrale risarcimento il lavoratore ha diritto ove sussistano i presupposti della relativa responsabilità del datore di lavoro” (CASS. 20.10.1998, n.10405; nella fattispecie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in caso di accertata colpa del datore di lavoro, rilevante anche sul piano penale, aveva condannato lo stesso al risarcimento, oltre che dei danni morali, dell’integrale danno biologico, inteso come relativo alla menomazione dell’integrità psicofisica della persona, in quanto incidente sul valore umano nella sua dimensione di vita personale, sociale, culturale ed estetica, senza riferimento invece al danno – patrimoniale – collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica).

Di rilievo, in particolare, l’ampliamento e le responsabilità del “medico competente” (art. 38 e segg.) sulla sorveglianza sanitaria.

Successivamente la materia è stata aggiornata in attuazione dell’art. 1 della legge 3/8/2007 n. 123 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, cosicchè veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2008, n. 108/L, il Decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, che ha riordinato e coordinato le disposizioni vigenti in materia in un unico testo normativo, richiamando l’art. 117, 5° comma ed i principi fondamentali di cui al 3° comma della Costituzione, nonché l’art. 16, comma 3° della legge 4 febbraio 2005 n. 11.

La Suprema Corte di Cassazione si è di recente pronunciata sulla tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, riconfermando l’indennizzabilità da parte dell’INAIL del danno biologico con le Tabelle d’invalidità ex art. 13 D. Lgsvo n. 38/2000 e D.M. 12/7/2000, per conseguire i fini propri del sistema assicurativo in conformità all’art. 38 Cost., 1° e 2° comma, e la non assoggettabilità della liquidazione dei danni operata dall’INAIL ai criteri valevoli in sede civilistica, ove si fa ricorso alle Tabelle del Foro e così ribadendo il duplice binario risarcitorio (CASS. Sez. lav. 2 febbraio 2017, n. 8243, Pres. Bronzini, rel. Riverso, in “Guida al Lavoro” de “Il Sole 24 Ore”, n. 22 del 27 maggio 2016, pg. 35).

IL MOBBING

Il “ mobbing sul lavoro” si configura come fenomeno inteso, per pressochè unanime orientamento giurisprudenziale e dottrinario la cui causa giuridica è rappresentata dalla violazione da parte del datore di lavoro degli specifici obblighi contrattuali previsti dagli artt. 2087 e 2103 cod. civ., quale “unico contenitore di condotte pregiudizievoli” che racchiude quelle condotte vessatorie, reiterate e durature, individuali e collettive, rivolte nei confronti di un lavoratore/trice ad opera di colleghi o superiori gerarchici al fine di emarginare ed estromettere il lavoratore/trice dal posto di lavoro, e “valore aggiunto al fisiologico conflitto tra datore di lavoro e dipendente” ( CASS. sent. n. 6326/2005).

Sono caratteristiche di questo comportamento ( CASS. 19 settembre 2014 n. 19782;  CASS. 23 maggio 2013 n. 12725; CASS 23 febbraio 2012 n. 2711):

        la sua sistematica protrazione nel tempo attraverso una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, anche intrinsecamente legittimi: Corte Cost. 19 dicembre 2003 n. 359;  CASS. SU 4 maggio 2004 n. 8438,  CASS. SU 12 giugno 2006 n. 13537;  CASS. 17 settembre 2009 n. 20046;  CASS. 29 settembre 2005 n. 19053);

        la volontà che lo sorregge, diretta alla persecuzione o all’emarginazione del dipendente, oppure – anche in assenza di un esplicitp fine persecutorio – diretta a vessare e mortificare il lavoratore ( CASS. 5 novembre 2012 n. 18927);

        la conseguente lesione arrecata al lavoratore, attuata sul piano professionale o sessuale o morale o psicologico fisico,

        il nesso causale tra condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore ( CASS. 25 settembre 2014 n.20230).

La Suprema Corte si pronunciava sul tema dei maltrattamenti e sulle varie forme che il mobbing può assumere nei posti di lavoro mediante la “Relazione tematica” del 10 novembre 2008.

Le condotte vessatorie e persecutorie in pregiudizio della professionalità e della integrità psico – fisica del lavoratore (danno biologico) è provato che si manifestano in svariati modi e forme: mediante il demansionamento, i trasferimenti, le sanzioni disciplinari tra cui anche la più grave, ossia il licenziamento, o al fine di ottenerne le dimissioni, le visite fiscali a pioggia, le molestie, oltre al boicottaggio, la privazione degli strumenti di lavoro e il cambiamento repentino della postazione, le ingiurie, le minacce e la diffamazione.

Il mobbing è entrato a far parte del Dizionario della Lingua Italiana Devoto – Oli, Ed. Le Monnier 2002 – 2003 (pg. 1289), e la più recente dottrina, oltre a vari autori (Monateri, Bona e Oliva – Casilli – Parodi – Ziviz – Cantisani – Cendon – Ascenzi e Bergagio – Riguzzi – Meucci – Rausei – Hege – Castiglioni – Gilioli – Greco), si è occupata del “fenomeno” in modo approfondito ed articolato: si citano, in particolare, il “ Trattato di Medicina Legale”, a cura di Alessio La Stella, collana di Giusto Giusti, nel Volume VII di Aggiornamento 2005, Cedam (pg. 849) e ancorprima, il “Trattato Breve dei Nuovi Danni”, di Paolo Cendon, Cedam 2001 (pag. 2077) che hanno dedicato un intero capitolo dell’opera al tema del mobbing.

Analogamente, in “Professionalità e contratto di lavoro“ di Cristina Alessi Giuffrè Editore 2004, si ribadisce il diritto del lavoratore alla professionalità e si illustrano le conseguenze della lesione di tale diritto alla salute (danno biologico).

In particolare, l’Aggiornamento del Trattato di Medicina Legale sopra citato affronta analiticamente i modi con cui si manifestano i comportamenti discriminatori, suddividendo gli argomenti in comunicazioni – relazioni sociali immagine sociale – situazione professionale e salute, tra “ mobbing sottile” e “ mobbing manifesto”, ed elencando le “tipologie” dei disturbi  mobbing – correlati attinenti alla sfera psichica del soggetto, fortemente alterata, ed “a carico di distretti anatomo – funzionali assai eterogenei, all’apparenza non correlati, con riferimento all’apparato digerente, respiratorio, cardiocircolatorio, osteo-articolare, tegumentario ed immunitario (con la conseguenza di un vero e proprio “disturbo post-traumatico da stress”, spesso certificato nei Referti della Clinica del Lavoro” L. Devoto di Milano e riportato nel DSM IV, ed un danno biologico o alla salute).

E’ divenuta copiosa negli ultimi anni la giurisprudenza riguardo al “mobbing sul lavoro”, specie dopo la Risoluzione CEE del 2001, che ha invitato gli Stati Membri dell’Unione Europea ad adottare misure preventive e repressive, a causa delle forti preoccupazioni in conseguenza dell’estendersi del grave fenomeno, con pesanti conseguenze per l’individuo, le aziende e la collettività, ed in virtù dell’assunto che  la salute è un “bene giuridico primario”, unitamente al diritto al lavoro, principalmente protetto ( artt. 32 e 41, 2° comma Cost.) nel nostro e nell’Ordinamento degli altri Stati.

Tra le tante, leggasi la recente rassegna pubblicata sul “Foro It.” n.12 – dicembre 2005, ma già in precedenza  CASS. Sez. Un. Civ. sent. n. 8438/2004;  CASS. sent. n. 4959 dell’8/3/2005;  Trib. Milano sent. n. 666/2005, est. Mascarello ;  Trib. Milano, sent. n. 1384/2005 est. Martello;  Trib. Milano, sent.28/2/2003, est. Vitali, in “D e L” pag. 655;  Trib. Lav. Forlì, 15/3/2001 est. Sorge;  Trib. Pisa, 6/10/2001, est. Nisticò;  Trib. Agrigento, GIP del Tribunale di Belluno, ordinanza di rinvio a giudizio in data 9/5/2005 per una vicenda del Pubblico Impiego, in “Guida al Lavoro” n.27 – 1/7/2005 “ a cura di Mauro Parisi, pg.30).

Più di recente, sulla responsabilità di Ente datoriale, leggasi  CASS. Sez. Lav. sent. n. 10037/2015, Pres. Stile sulla risarcibilità del danno non patrimoniale,  CASS. Sez. lav. sent. n. 10157/2004 e  CASS. Sez. Un. civ. sent. 22/2/2010 n. 4063.

A sostegno intervengono le disposizioni di legge sul “divieto di discriminazioni ambientali” di cui al D. Lgsvo n. 2162003 di ispirazione comunitaria.

La nostra Costituzione, peraltro, in svariati articoli ( artt. 2-3-4-32-35-36 e 41, 2° comma) prevede  norme con cui il mobbing si pone in forte contrasto “ proprio” in virtù della marcata capacità lesiva diretta alla persona – lavoratore e alla collettività.

Analogamente, il codice civile e il codice penale, per non prevedendo ancora il nostro Ordinamento una specifica norma sul mobbing in quanto non vi è ancora una legge che lo regolamenti, contengono disposizione che costituiscono validi strumenti a tutela della lavoratore, della sua professionalità e della sua integrità psico – fisica ( in sede civile, artt. 2043 -2049-2087-2059-2103-2219- cod. civ. in sede penale, artt. 323-581-582-590-594-595-610 cod. pen.), che la giurisprudenza ha fatto proprie, potendo contare sulla legislazione a supporto sopra richiamata, per sopperire ai gravi guasti determinati dalle “costrittività organizzative” alla carriera professionale ed alla salute, in danno altresì delle aziende e della intera collettività per i costi delle assenze in malattie, le spese mediche e l’elevato consumo dei farmaci antidepressivi.

Sia le giurisprudenza che la dottrina in materia si soffermano,e, pronunciano, anche sulle “ ricadute” ed i riflessi negativi derivanti al lavoratore dal mobbing sul piano esistenziale per la modifica in pejus della qualità della vita, e sulla perdita di “chances” e di reddito: in tal senso,  CASS. Sez. III civ., sent. n. 22585/2013 e  CASS. Sez. III civ., sent. N. 11851/2015, Pres. Segreto, entrambe sull’autonoma risarcibilità del “danno esistenziale”.

Sulla responsabilità del datore di lavoro per cattivo esercizio del potere direttivo e danno psichico procurato al dipendente vedassi  CASS. Sez. Lav. 6/8/2014 n. 17698 in “Guida al Lavoro” n. 41 del 24/10/2014.

LA RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE DEL MEDICO E DELL’OSPEDALE E CRITERI DI RESPONSABILITA’ PER IL DANNO PROCURATO IN VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO “NEMINEM LAEDERE”

Il quadro normativo che configura la “responsabilità civile medica” (ovvero il rapporto strettamente intercorrente tra il concetto di responsabilità e la sua conseguenza diretta sul patrimonio della persona (M. Franzoni, “Fatti illeciti” in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Zanichelli, Bologna, 1993, 1 e segg.) e che costituisce un aspetto della tutela della salute dell’individuo in relazione ai pericoli connessi allo svolgimento di un trattamento sanitario (F.D. Busnelli, presentazione al Volume “La responsabilità medica”, Milano, 1982, 1), va integrato dalla norma dettata dall’art. 2236 del codice civile in tema di contratto d’opera intellettuale.

Secondo tale norma, la cui “ratio” viene indicata dalla relazione al codice civile nella necessità di trovare un punto d’incontro tra due opposte esigenze (quella di non mortificare l’iniziativa del professionista con il timore di ingiuste rappresaglie in caso di insuccesso e quella di non indulgere verso non ponderate decisioni, errori e inerzie riprovevoli del professionista): “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera intellettuale non risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave”.

Molte sono le critiche e le perplessita’ suscitate “in dottrina” da questa disposizione ritenuta una specie di “clausola di salvataggio” o di “salvagente giuridico” (vedasi G.B. Petti, “La responsabilità professionale del medico in relazione al danno biologico sanitario)”, in quanto introdurrebbe un irragionevole regime di responsabilità attenuata del professionista, proprio nella ipotesi in cui, presentandosi “problemi tecnici di speciale difficoltà”, egli dovrebbe dimostrare un’attenzione, una cautela, ed un impegno del tutto particolari.

Difatti, come osservava correttamente L. Mengoni su “Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi”, in Riv. Dir. Comm., 1954, I, pg. 206, “apparirebbe insensato non esigere il massimo scrupolo del trasportatore di cose fragili”.

Ne consegue che la previsione dell’art. 2236 del codice civile deve essere intesa nel senso che “ non si fa carico al professionista della mancanza di una perizia superiore alla perizia minima ed essenziale della sua categoria professionale: l’errata soluzione del problema tecnico di speciale difficoltà integra cioè gli estremi della colpa grave quando il debitore disapplica nozioni che sono di conoscenza comune ai professionisti della sua categoria”

In tal senso, si segnala C.M. Bianca, “Dell’inadempimento delle obbligazioni, “in Commentario del Codice Civile, a cura di Scialoja e Branca, Zanichelli, Bologna, 1980, 148.

Risulta che anche LA GIURISPRUDENZA SI E’ UNIFORMATA, (nell’occuparsi della norma di cui all’art. 2236 del codice civile), A TALE ORIENTAMENTO DELLA DOTTRINA , affermando che l’attenuazione di responsabilità ivi prevista opera soltanto quando al professionista è affidato un caso “di particolare complessità, o perché non ancora sperimentato o studiato a sufficienza, o perché non ancora dibattuto con riferimento ai metodi terapeutici da eseguire”.

La CASS. civ., Sez. III, 23/6/90 n. 2428, Pres. Cruciani, in Caiaffa c/USL BARI/3, secondo cui “il professionista medico – chirurgo risponde anche per colpa lieve, quando per omissione di diligenza o per inadeguata preparazione provochi un danno nell’esecuzione d’un intervento operatorio o d’una terapia medica”; CASS. civ., Sez. III 12/8 /95 n. 8845, Pres. Romagnoli , in Comune Montevarchi c/ USL 20/A Montevarchi, secondo cui “la responsabilità del professionista medico – chirurgo per i danni causati nell’esercizio della sua attività postula la violazione dei doveri inerenti alla stessa, tra i quali la diligenza …. e implica scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale”.

Ci si riferisce quindi non a tutti gli atti del medico, ma solo a quelli che trascendono la preparazione professionale media (CASS civile Sez. III, 11/4/95 n. 4152, Pres. Sciolla), e che implichino quindi “la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà” (CASS. Civile, Sez. III, 18/10/94, n. 8470, Pres. Taddeucci, ove si ribadisce che “…. l’attività professionale importa l’obbligo di diligenza del buon padre di famiglia, implicante una scrupolosa attenzione ed una adeguata preparazione professionale”.

Siffatto orientamento giurisprudenziale ravvisa una limitazione di responsabilità (quella di cui all’art. 2236 c.c.) che va riferita, tuttalpiù, soltanto a ipotesi di imperizia (per la complessità del caso, ecc), mentre NON PUO’ APPLICARSI AI DANNI RICOLLEGABILI A NEGLIGENZA O IMPRUDENZA IN ORDINE AI QUALI IL PROFESSIONISTA RISPONDE ANCHE PER COLPA LIEVE” Cass. Civile, sez. III, 30/5/96 n. 5005, Pres. Iannotta, in USL 11 Pordenone c/ Chiaranda; CASS. Civile, Sez. III, 1/8/96 n. 6937, Pres. Grossi, in Nappi c/ Saunie, secondo cui “la disposizione di cui all’art. 2236 del codice civile non trova applicazione ai danni ricollegabili a negligenza e imprudenza”).

Doverosamente, si osserva in proposito che il progresso attuale della scienza e della tecnica, l’aumento dei mezzi di divulgazione dei risultati scientifici e, più in generale, della casistica, il continuo dovere di aggiornamento del professionista hanno fatto in modo che degli errori, per i quali in passato si rispondeva solo per dolo o colpa grave, oggi si risponda secondo le regole comuni.

Si è quindi ridotta sensibilmente, nel campo delle prestazioni medico – specialistiche, l’area di applicazione dell’attenuazione di responsabilità prevista dall’art. 2236 c.c. (CASS. 3/3/95 n. 2466 , in Giur. It.,1996, I, 1, 91, con nota di Carusi, “Responsabilità del medico, diligenza professionale, inadeguata dotazione della struttura Ospedaliera, in Rep. Gen. Ann. Giur. It., 1995, voce Professioni Intellettuali n. 88 e in Mass. 1995; conf. In dottrina G. Marchetto e A. Prati, in Digesto Civile, voce Prof. intellettuali, Torino, 1997, XV, 362).

Tale attenuazione di responsabilita’ del professionista (di cui all’art. 2236 c.c.) che, per la sua collocazione sembra disciplinare i soli rapporti che traggono origine da un contratto, trova però pacificamente applicazione anche nel campo della responsabilità extracontrattuale del medico (CASS. 26/3/98 n. 2428 cit.), atteso che tra le due forme (contrattuale ed extracontrattuale) pare essersi oramai stabilita una sorta di “osmosi” (R. De Matteis:” La responsabilità medica tra prospettive comunitarie e nuove tendenze giurisprudenziali, in Contr. Impr., 1995, 1).

Principio, quello dell’attenuazione di responsabilità del professionista ex art. 2236 c.c. che, mentre in passato aveva trovato temporanea collocazione pure in sede penale in virtù di una sentenza della Corte Costituzionale, negli ultimi anni ha trovato autorevoli deroghe anche in tale sede, con esclusione della non punibilità (CASS. Pen. 18/12/89 in “Riv. Prev.”1991, tra le tante), e …”come regola di esperienza cui il giudice possa attenersi nel valutare l’addebito di imperizia” (CASS. Pen. 10/5/95, in “Resp. Civ. Prev.”, 1995, 903, con nota di Pontonio).

Rimane fermo il principio del diritto alla risarcibilità del danno ex artt. 1218 e 1223 del codice civile in virtù del principio della responsabilità contrattuale a mezzo del contratto e/o contatto sociale della professione medica, sia in relazione al richiamato art. 2236 del codice civile (“Responsabilità extracontrattuale per danno ingiusto”).

In tal senso, CASS. Sez. Un. 11/1/2008 n. 577; Trib. Civ. Milano, Sez. IV Stralcio, n. 2666/2000.

Quanto ai criteri risarcitori, si rileva che di recente la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata a favore della risarcibilità di “situazioni soggettive diverse dalla salute” (CASS. sent. 3/10/2013 n. 22585 in “Foro It.” n. 12, dicembre 2013 e in “Guida al Diritto” – Il Sole 24 Ore pg. 28 n. 42 del 19/10/2013), e per le “gravose rinunce ad un facere” nella quotidianità, nonché quale “compressione di attività non reddituali”, quali il danno alla vita di relazione ed alla sfera sessuale per lo stravolgimento delle condizioni di vita. In dottrina: M. Libertini, Pedrazzoli ed altri.

Sul risarcimento del danno non patrimoniale, leggasi CASS. Sez. III civ., sent. n. 5/10/2011, n. 20667, e Corte d’Appello Milano, Sez. IV Civ. sent. n. 3128/2007, che riconosce la risarcibilità del danno riflesso ai prossimi congiunti e che, in ogni caso, andrà riconosciuta se il fatto ha cagionato in capo alla vittima “lesioni e/o sofferenze di particolare gravità ed abbia profondamente alterato il complessivo assetto dei rapporti familiari (CASS. 8827/2003; CASS. civ. n. 9556/2002; 26963/2007; 26972, 26973 e 26974 del 2008; 469/2009; 20667/2010; 22909/2012) al fine di evitare l’”allargamento a dismisura dei risarcimenti di danno morale” (CASS. civ. 9556/2002; 8827/2003).

“Sul concorso fra causa umana e causa naturale nella produzione del danno in caso di colpa medica” CASS. 29/2/2016 n. 3893;

“Sulla natura della responsabilità professionale sanitaria e onere della prova dell’inadempimento” CASS. 18/9/2015 n. 18307 in “Foro It” n. 1 , gennaio 2016.

Sui “criteri di valutazione del danno non patrimoniale in tema di responsabilità sanitaria” CASS.13/1/2015 n. 278, 20/10/2014 nn. 22225 e 22222 in “Foro It.” n. 2 – febbraio 2015